INTERVIEW: CAMPO BAEZA

04_Oficinas Zamora_Javier Callejas
1.Quando hai deciso di voler diventare architetto?

Da sempre, dall’ inizio della mia vita. Mio nonno è stato un architetto che all’inizio dello scorso secolo ha lavorato a Valladolid. Lui e mia madre mi hanno inculcato il “veleno dell’architettura”.

2.Quale la tua più significativa esperienza da studente?

Il mio primo professore di disegno fu Alejandro de la Sota che mi trasmise il senso di una architettura sobria, semplice, pulita, logica. Poi, la scoperta di Mies Van der Rohe, Le Corbusier,  Jacobsen e Terragni che hanno significato non poco nel corso della mia crescita professionale.

3.Come nasce un suo progetto? Che peso hanno analisi e intuizione?

Valgono entrambe. Goya diceva che: “il sogno della ragione produce mostri. Ma è l’imaginazione, aggiutatta al raziocinio, il vero motore per la creazione artistica”. Analisi e intuizione sono due principi sostanziali che viaggiano di pari passo ma che non possono prescindere da un’altra sostanziale componente, la memoria storica.

4.Quanto ha influito il disegno digitale sul modo di lavorare? Che peso ha lo schizzo nella sua maniera di progettare?

Siamo nell terzo milenio, il computer è uno strumento fantastico e necessario. Io disegno di continuo, non riesco mai a mettere fine ai miei schizzi, importante tramite per i miei ragionamenti. Per dare ordiene però ho bisogno di disegni puliti che abbiano unottimo livello di precisione.

5.Quanto la fase di cantiere incide sul risultato finale?

Tantissimo. Nella mia ultima conferenza a Beirut ho mostrato imagini del mio lavoro in cantiere  per spiegare ai miei studenti quanto importante e necessaria è questa esperienza. Ad esempio, nella mia ultima casa sulla spiagga di Zahara ho usato il tavertino trattato rendendomi conto, durante la fase di costruzione, che il travertino locale era troppo puro e per questo poco applicabile in quella data situazione.

6.Crede che i vincoli siano un limite o un valore da volgere a proprio favore?

Le norme – e i vincoli –  sono un ingrediente che non bisogna mai dimenticare. Non sono un alibi da tirare in balo qualora si inciampi in un pessimo risultato. È necessario non dimenticare mai il valore del luogo, senza tralasciare neppure il minimo dettaglio. Tutto va interpretato con la massima attenzione.

7.Preferisce lavorare con il pubblico o con il privato?

Da sempre lavoro con entrambi, con annessi e connessi che questo comporta.

8.Come riesce a bilanciare l’uso di materiali tradizionali e quelli più vicini alla recente tecnica delle costruzioni?

Dipende. Capire il territorio è essenziale ma bisogna essere bravi a non predersi in banalità. Vivere e rispettare il proprio ambiente non significa progettare giardini verticali come oggi in molti fanno. È sbagliato ragionare solo in quest’ottica. Come dicevo prima la memoria è importante. Assume poi maggiore valore se a questa si reisce ad aggiungere una ottima capacità di mimesi intesa non come assenza di distinguibilità ma come forte capacità di adesione al contesto.

9.Le risorse rinnovabili. Pensa siano solo un rimedio agli errori del passato o anche una buona maniera per fare architettura?

Preferisco parlare del senso comune. Quando un architetto identifica la propria come una architettura sostenibile, è molto probabile sia solo un cattivo prodotto.

10.Quale il progetto che più la rappresenta o quello al quale è più legato?

È come dire: quale e il tuo figlio preferito? Forse l´ultimo perché e il piu piccolo. In questo momento il bambino appena nato è la casa VT, una costruzione orizzontale che si distende lungo la costa del mare di Zahara.

11.Il tema con il quale spera di confrontarsi nel prossimo futuro o quali i progetti già in divenire?

Per il futuro, per il presente e per il passato, mi auspico sempre di trovare la bellezza. La Bellezza come specchio della veritá, come diceva Platone in un dialogo con Sant’ Agostino. L’umanitá è fame di bellezza.

More info: www.campobaeza.com